Una moderna professionalità docente per una scuola centrata sugli studenti

Una moderna professionalità docente per una scuola centrata sugli studenti.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Una moderna professionalità docente per una scuola centrata sugli studenti

Oulis Euxinou

Oulis Euxinou, Medico Caposcuola a Velia

Una moderna professionalità docente
per una scuola centrata sugli studenti

“…. Sui pedagoghi (aggiungerei) soprattutto questo: che o siano forniti di una cultura ampia, che vorrei fosse la prima preoccupazione, o siano consapevoli di non essere colti.
Non c’è niente di peggio di coloro che, andati poco più in là delle conoscenze più elementari, abbiano messo addosso la persuasione sbagliata di possedere una cultura. Infatti, non solo si indignano a dover rinunciare alla funzione di ammaestrare, ma per giunta, come per un preteso diritto di superiorità, in base al quale questo genere di individui si gonfia di boria, dispotici e nel contempo inferociti si accaniscono ad insegnare la loro stupidità….
Così Quintiliano nell’Institutio Oratoria: occorreva innanzitutto formare insegnanti colti e consapevoli.

Secondo Tacito, invece, la decadenza delle scuole di retorica non era questione di buoni insegnanti, bensì un problema politico, da connettere alla mancanza di democrazia e alla decadenza della società romana, dominata dalla dispotica famiglia imperiale Giulio-Claudia.

Duemila anni fa, una discussione sulla scuola sicuramente più avanzata di quella che oggi si sta facendo in Italia, che si è richiamata, di volta in volta, alla sistemazione dei docenti precari, alla gerarchia, alla severità, al voto in condotta, all’intervento del Ministero degli Interni (di recente), che percepisce gli studenti come una minaccia, come soggetti da domare, non come persone da mettere in contatto in maniera criticamente interessata con le smisurate banche del sapere contemporanee.
Mai il sapere è stato così pervasivo; mai la scuola è stata così chiusa.

La scuola italiana appare troppo centrata sugli insegnanti e poco attenta alle caratteristiche individuali e alle esigenze di miglioramento degli studenti. Gli insegnanti dovrebbero imparare ad ascoltare. Anche un insegnante dovrebbe accettare un principio fondamentale della fisica, il principio della minima azione, che regola il moto dei corpi. Anche un insegnante, cioè, dovrebbe lavorare per “conoscere i principi, le strutture, le tendenze delle cose e degli uomini e della natura, così bene da poter usare il minimo quantitativo di energia nel trattare con essi”(Paolo Bartoli). Purtroppo, non si dedica neanche un minuto alla conoscenza degli alunni e del loro contesto di vita, al colloquio individuale.

Einstein consigliava: ”La maggior parte degli insegnanti perde tempo a fare domande che mirano a scoprire ciò che l’alunno non sa, mentre la vera arte del fare domande mira a scoprire ciò che l’alunno sa o che è capace di sapere”.
Secondo
H. Gardner  “Gli insegnanti dovrebbero passar meno tempo a classificare gli studenti e più tempo ad aiutarli ad identificare e coltivare le loro competenze e i loro talenti naturaliE ancora:“Qualsiasi concetto è degno di essere insegnato in almeno cinque modi diversi ( approcci narrativo, logico-quantitativo, filosofico-concettuale, estetico,  esperienziale),  che ricalcano la pluralità delle intelligenze”.

La scuola dovrebbe educare al comprendere, cioè insegnare a: accrescere la curiosità, sollevare problemi, stimolare  osservazioni partecipate, esprimere domande appropriate, formulare ipotesi, condurre esperimenti pertinenti,  superare la fase infantile dell’intuizione, studiare e progettare in maniera sistemica e creativa. Bisognerebbe, perciò, passare all’istruzione formale solo dopo aver suscitato l’interesse alla comprensione.
Secondo gli impietosi tests dell’OCSE, che hanno visto gli studenti italiani ripetutamente piazzati agli ultimi posti della graduatoria, diventa imprescindibile il miglioramento dei metodi di  lettura e comprensione dei testi, di mappatura dei contenuti, di applicazione di modelli matematici alla fisica, di uso delle conoscenze scientifiche nella soluzione dei problemi della vita reale.

Nella società postindustriale si modificano i rapporti gerarchici. In un approccio sistemico al sapere, per avere successo, insegnante e allievo dovrebbero insegnare e imparare insieme. Non si costruiscono  strutture verticali, ma orizzontali, fondate sulla ricerca costante, sul lavoro di squadra e lo scambio di informazioni,  sulla creatività individuale e collettiva,  sulla crescita dell’autostima, sul potenziamento dell’intelligenza emotiva, sulla capacità di cercare alternative, di stabilire priorità, di fissare obiettivi , di gestire il proprio tempo.

Incomprensibilmente una serie di eccellenti ed aggiornate tecniche didattiche e motivazionali sono largamente impiegate nel mondo delle imprese, ma non riescono a penetrare affatto nel mondo scolastico. Troppo spesso la creatività è bandita dalla scuola, per far posto solo  alla noiosa ripetitività della prassi logico-analitica, per cui a scuola si inocula la convinzione che la creatività sia una dote misteriosa, posseduta da un numero eletto di individui e non, invece,  semplicemente una delle modalità normali e costruttive con cui si esprime il pensiero umano, soprattutto nelle società a sviluppo avanzato.

La grande rivoluzione scientifica del ‘900 ha dimostrato che, se si vuole insegnare la vita, si dovrebbe provare a comprendere oltre che le singole cose (metodo riduzionistico cartesiano), soprattutto le relazioni tra le cose (anche se più correttamente occorrerebbe parlare non di cose statiche, ma di processi, come ci insegna la fisica di W. Hejsemberg o di N. Bohr o, ancora, di F. Capra). Il nuovo metodo scientifico ha trasformato il modo di percepire il mondo, ma aspetta ancora di produrre conseguenze sui saperi scolastici e sulla cultura italiana.

Spesso i cosiddetti alunni da bocciare hanno uno stile di apprendimento non coerente con una impostazione nozionistica dell’insegnamento ( auditiva o visiva). Un alunno irrequieto potrebbe essere un cinestesico, pronto a smanettare in maniera strepitosa su un computer o a disegnare o a recitare o a creare, perché predilige un approccio al sapere di tipo esperienziale. Le scuole finlandesi ( prime nei tests OCSE) prevedono un esercizio esteso della manualità, per cui si giovano laboratori di vario tipo (cucito, falegnameria, ferro, ecc…., che per noi potrebbero essere terracotta, cesti, meccanica, elettrotecnica …..). Intanto per venti anni di scuola uno studente italiano non utilizza, salvo rare eccezioni, le mani, la cui presa ha comportato il rafforzamento del cervello. Mi permetto di sottolineare che gli studi sul cervello hanno ampiamente dimostrato che la percezione del mondo di un individuo è strettamente correlata allo status delle sue attività motorie.

E comunque non vanno trascurate ottime e semplici tecniche per migliorare la capacità di ascolto o di osservazione, di motivazione.

I genitori, ad esempio, si dovrebbero convocare a scuola quando il figlio riesce a fare bene, per accrescere la sua autostima. Secondo la mia esperienza, la presentazione da parte degli alunni ai genitori di progetti svolti con successo dalla classe dà risultati molto positivi per la crescita della fiducia in se stessi.

Insomma nell’era della rivoluzione informatica, in cui i saperi diventano globalizzati e pervasivi come non mai, la scuola italiana non può reagire chiudendosi.

Mi parrebbe, quindi, opportuna una riflessione sulle seguenti priorità per la scuola:

  • Innalzamento dell’orario di lavoro degli insegnanti a 35 ore settimanali, come accade in tutta l’Europa, per una scuola aperta anche il pomeriggio, per le compresenze, per il lavoro comune che insegni la solidarietà umana e ricomponga un sapere utile e che abbia un senso, per dedicare ad un allievo almeno un’ora (!!!) di colloquio riservato e individuale e pianificare insieme un patto di miglioramento. La scuola, con il consenso di tutte le organizzazioni sindacali, vede frammentato fino alla disintegrazione l’orario di lavoro, con il risultato che viene remunerato poco, perché le prestazioni “aggiuntive” non sono chiaramente riconoscibili, mentre si è progressivamente eroso il vecchio vantaggio corporativo di dedicare più tempo alla famiglia o alla professione. E la nevrosi aumenta…..
  • Ricomposizione del sapere, che superi il riduzionismo cartesiano delle discipline a compartimento stagno, per comprendere la complessità delle relazioni interne dei sistemi. Potrebbe essere utile, ad esempio, far partire a Velia un centro di ricomposizione del sapere antico e moderno, che offra materia di riflessione sui metodi prescientifici e scientifico-sperimentali del mondo antico e dell’età ellenistica in particolare.
  • Governo delle dinamiche di gruppo, necessariamente  correlato all’approccio alla complessità del sapere e dei problemi non più risolvibili individualmente.
  • Studio specifico e storicizzato del metodo scientifico.
  • Formazione culturale aperta all’Europa e al mondo (interessantissimi, ad esempio, alcuni testi di matematica indiani).
  • Miglioramento dei metodi di  lettura e comprensione dei testi, di mappatura dei contenuti, di applicazione di modelli matematici alla fisica, di uso delle conoscenze scientifiche nei problemi della vita reale.
  • Storicizzazione e approccio fortemente sperimentale alle discipline scientifiche.
  • Approfondimento sperimentale della fisica, della chimica, della matematica del Novecento e delle loro relazioni con l’insieme della cultura contemporanea .
  • Potenziamento nei programmi della logica matematica.
  • Creazione di racconti e di poesie della matematica e della scienza, per una pedagogia dell’immaginario contemporaneo, che motivi anche all’apprendimento scientifico.
  • Educazione obbligatoria alla raccolta differenziata e al riciclo, soprattutto in una regione come la Campania, se è vero che da Einstein in poi la massa imprigiona energia ( E = mc² ) , per cui non dovrebbero esistere concettualmente “i rifiuti”.
  • Maggiore considerazione degli aspetti comunicativi e contenutistici nell’insegnamento delle lingue rispetto all’approccio puramente grammaticale ( ciò vale per l’inglese, ma anche per il latino).
  • Padronanza dell’inglese, delle nuove tecnologie informatiche e utilizzo didattico critico di internet.
  • Cambiamento dei libri di storia e di geografia ancorati al determinismo biologico,  per accedere ad una visione diffusionista, secondo la quale le diverse civiltà non si sono evolute separatamente, ma si sono giovate di connessioni complesse, con evoluzioni e involuzioni.
  • Introduzione nelle antologie latine di ampi spazi per autori come Vitruvio, Catone, Varrone, Columella, Celso, Copernico, Galileo ………. Si pensi al ruolo avuto da Vitruvio nell’umanesimo e nel Rinascimento italiano e nella cultura mondiale, ma i suoi testi circolano in Italia in edizioni troppo costose e compaiono di rado in brani per nulla significativi nelle antologie. Per non parlare di Galileo ………
  • Graduale superamento dei libri di testo e creazione/rafforzamento di biblioteche (anche digitali) e di mediateche ( si pensi alla possibilità di attingere a quella RAI) dell’istituto, della classe e dei comuni;  internet, youtube sono fonti inesauribili di materiali a costo zero, ovviamente da selezionare criticamente. Sui siti internet di istituto potrebbe comparire l’elenco dei links di maggiore interesse culturale.
  • Insegnamento e sostegno agli alunni in difficoltà via internet, soprattutto nei corsi di recupero agli studenti pendolari con  difficoltà di spostamento per dimore molto distanti dalla scuola.
  • Insegnamento della storia dell’arte in tutte le scuole superiori del Bel Paese, per far comprendere che l’armonia delle proporzioni si è ottenuta anche attraverso il calcolo matematico (lo studio della sezione aurea viene trascurato ….. ).
  • Estensione dell’insegnamento della musica, anche per approfondire i suoi rapporti con la matematica.
  • Formazione psicopedagogica solida dei docenti, con particolare riguardo ai nuovi studi sull’intelligenza emotiva, sul pensiero creativo, sulla Programmazione Neuro Linguistica, sui nuovi metodi di apprendimento (mappe mentali …), con più intenso interesse allo scenario internazionale.
  • Obbligo (oggi non chiaramente legiferato) per gli insegnanti di seguire i corsi di formazione programmati.
  • Specializzazione di ottimi istituti secondari anche per la formazione delle professionalità utili al territorio:  in un parco nazionale come quello del Cilento si potrebbe strutturare il sistema della formazione dei quadri per l’ecoturismo, per la bioagricoltura, per la protezione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali , per l’ingegneria naturalistica, per le nuove tecnologie informatiche, per il risparmio energetico e l’uso delle energie alternative …..
  • Studio del territorio, in una logica di rete, per corridoi ecologici, secondo un approccio ecosistemico.
  • Potenziamento della capacità di osservare in maniera partecipe ( secondo il principio di complementarità di Bohr) i processi, attraverso un uso didattico spinto dei laboratori, delle escursioni e degli stages. Sarebbe più utile prima osservare, anche le illustrazioni del testo, quindi rappresentare graficamente quanto osservato, porsi domande e poi studiare.  Il cervello umano ha imparato per due milioni e mezzo di anni soprattutto attraverso l’osservazione e solo da circa tremila attraverso l’alfabeto. Perciò le visite guidate e i viaggi di istruzione andrebbero programmati all’inizio dell’anno scolastico e non in primavera, anche con vantaggio economico delle famiglie e del turismo.
  • Conservazione dei progetti di studio meglio riusciti in una banca dati di istituto, a cui si possa accedere via internet.
  • Investimenti più cospicui per risanare e rinnovare le strutture scolastiche, adeguandole alle esigenze culturali e didattiche contemporanee, con la creazione di musei-laboratorio.
  • Individuazione nei consigli di classe, non solo degli obiettivi, ma soprattutto delle priorità, lavorando in squadra alla costruzione del processo e  responsabilizzandosi rispetto ai  risultati.
  • Sistema di valutazione degli istituti, tarato soprattutto sui risultati degli allievi nei livelli superiori, sui risultati dei progetti formativi degli insegnanti, sulla qualità e sulla frequenza dei laboratori e sulla partecipazione agli stages, sulla circolazione interna delle idee e dei progetti, sull’uso didattico di internet, di Youtube .
  • Creazione di un sistema di valutazione individuale fondato sul   miglioramento continuo, che metta al centro  condivisione tra alunno e docente delle finalità e degli obiettivi, conoscenza degli stili di apprendimento dello studente (cioè auditivo, visivo, cinestesico), sviluppo delle abilità trasversali, intelligenza emotiva (cioè della consapevolezza di sé, della motivazione, dei livelli di autostima, della padronanza di sé, dell’empatia, delle capacità relazionali), rinunciando una volta per tutte alla   valutazione idiota e ottocentesca della condotta.  Il voto verrebbe a misurare un processo pianificato, che  alunno e insegnante condividono e sottoscrivono in un patto per il miglioramento dei comportamenti personali e della comprensione culturale. ( a scuola ho impostato e sperimentato delle schede in questo senso).

La scuola, infatti, dovrebbe insegnare a comprendere, non a  soddisfare l’esigenza burocratica di  rispondere a delle domande. Quello che manca spesso ai ragazzi, soprattutto a quelli delle aree marginali e a rischio, non è solo  l’abilità di leggere, scrivere e far di conto, quanto la capacità e il metodo di leggere o di ascoltare o di osservare per comprendere e il desiderio di leggere e di osservare in modo partecipe.
Ma è proprio vero che tutti dovrebbero essere interessati a una scuola che  insegni a comprendere? I governi e gli insegnanti compresi? Oppure ci troviamo di fronte a una crisi della politica che  produce una crisi della professionalità ( e al contrario, in maniera interdipendente), come ai tempi di Tacito e Quintiliano?

Inoltre, se si fa riferimento ad una analisi sistemica, non ha senso esibire dati sul migliore funzionamento della scuola nelle aree industrializzate (cosa che emerge da tutti i dati disponibili); piuttosto sarebbe utile specializzare nelle moderne tecniche psicopedagogiche il personale più motivato e destinarlo nelle aree di maggiore emergenza sociale, impegnandolo con incentivazioni su progetti mirati.

I dati confermano che abbiamo una scuola che genera spesso spiantati, che non promuove né socialmente né culturalmente i figli delle classi meno abbienti, anzi l’Italia è il paese con la più bassa mobilità sociale; e ciò, mi pare, si dovrebbe correlare a un prodotto interno lordo in calo, oltre che a una discriminazione di classe.

La società italiana non richiede alla scuola prestazioni più avanzate; la scuola non stimola la società a migliorarsi. Il sistema tende a raggiungere il suo equilibrio verso la stagnazione o la recessione.
Mi sembrerebbe opportuno ricordare le parole di Antonio Gramsci: “Perciò una riforma intellettuale e morale non può non essere legata ad un programma di riforma economica, anzi il programma di riforma economica è appunto il modo concreto con cui si presenta ogni riforma intellettuale e morale” .

Prof. Giuseppe Cilento
Insegnant
e in pensione
Ex dipendente MIUR
presso il Liceo Scientifico Statale L. da Vinci
di Vallo della Lucania (SA)

 21/09/2014

 

Pubblicato in Uncategorized | 2 commenti

PARCO NAZIONALE DEL CILENTO: UN SISTEMA AD ALTA INTENSITA’ DI CONOSCENZA

DSCF8505DSCF1994

Foto di Ceramica Protogeometrica (VI sec. a. C.).
Il primo cratere da sinistra è di Padula, il secondo è di Palinuro:
un corridoio ecologico tra Vallo di Diano e Cilento.

Giuseppe Cilento

PER UNA MODERNIZZAZIONE SOSTENIBILE DEL SISTEMA
PARCO NAZIONALE DEL CILENTO

La crisi secondo Einstein

Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’.

Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza.

L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla”.         (da “Il mondo come io lo vedo” di Albert Einstein)

Sommario

Premessa. 3

La città del parco. 5

I corridoi ecologici 5

Spopolamento dei paesi interni 6

Fuoco prescritto. 7

I boschi 8

Un patto per le infrastrutture strategiche. 8

Energia alternativa, condotte idriche e fognarie. 8

Equilibrio idrogeologico. 9

Acqua ed erosione costiera. 10

L’agricoltura. 11

La dieta mediterranea. 13

La fauna del Parco. 13

I cosiddetti rifiuti: E=mc2 14

L’urbanistica ecosostenibile con  regole semplificate. 15

La sentieristica. 17

Il turismo culturale. 18

La formazione e le nuove professionalità. 22

La sicurezza. 22

La governance del Parco. 24

 


Premessa

Dagli anni settanta il sistema Italia vede scendere la percentuale di crescita, brucia ricchezze con uno Stato elefantiaco e disgregato, accumulando il terzo debito pubblico al mondo. A questo si reagisce, per rendere competitivo il sistema, applicando nuove tasse, dimezzando i salari e aumentando le ore di lavoro soprattutto ai giovani, attaccando il welfare e le libertà sui luoghi di lavoro, imboccando così la via dell’impoverimento e della recessione. La moltiplicazione dei centri decisionali e di spesa ha indebolito il sistema, rendendolo perdente . Lo snellimento dello Stato, il lavoro finalizzato al bene comune rispettoso dell’ambiente, l’innovazione del sapere e delle tecnologie, la modernizzazione del pensiero e dei comportamenti, potrebbero offrire uno sbocco positivo alla crisi. Oppure per difendere l’esistente, si può accettare la prospettiva di arretramento socioeconomico e culturale .
La modernizzazione del pensiero e dei comportamenti incontra seri ostacoli in un clima diffuso di cultura antiscientifica e superficiale.
La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l’universo, ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.” Il Saggiatore (1623), Galileo Galilei. Così la civiltà occidentale rinvigorisce il suo processo di modernizzazione.
Einstein nel 1905 insegna che la materia imprigiona energia (E=mc²), perciò un ecosistema non genera rifiuti, perché la materia si può trasformare in energia e l’energia in materia.
La fisica contemporanea mostra che  non possiamo scomporre il mondo in unità minime dotate di esistenza indipendente. L’atomo isolato non esiste. Quando si osservano le particelle, non si vede mai nessuna sostanza statica, ma solo forme dinamiche, che si trasformano incessantemente l’una nell’altra, in una continua danza di energia. Il mondo subatomico è conoscibile per via statistica solo in un fittissimo scambio relazionale. Esiste una fondamentale unità dell’universo. La scienza moderna propone una nuova percezione del mondo. Perciò la scienza moderna non studia più le cose, ma le relazioni fra le cose. Questa scienza, vecchia di un secolo, ha generato l’ecologia profonda, che riconosce il valore intrinseco di tutti gli esseri viventi e considera gli esseri umani non più superiori agli altri,  ma semplicemente “un filo particolare nella trama della vita” (F. Capra).
La meccanica quantistica, con il principio di indeterminazione di Heisemberg, ha sperimentato che la scienza non può promettere  certezze assolute: se misuri la posizione con esattezza di un atomo, non riesci ad ottenere misure altrettanto esatte della sua velocità. Perciò la misurabilità necessaria delle cose si affida al calcolo statistico, alla fatica dell’esperienza ripetuta, rianalizzata, riconfrontata, riclassificata. Possiamo provare a spiegarci il senso delle cose, accumulando gradualmente esperienze, da cui possiamo ricavare teorie più soddisfacenti, ma non definitive.In una nuova percezione del mondo la peculiarità di un territorio-parco richiede comportamenti ad alta intensità di conoscenza. Un piano per il parco cerca di comprendere  come le reti interagiscono e  creano un sistema, sforzandosi di individuare i nodi della rete (ad esempio, i “fari culturali” di De Masi) e i punti di leva più efficaci per il miglioramento del sistema.

Anche nel territorio del Parco Nazionale del Cilento occorre cominciare a giovarsi di un approccio scientifico moderno ai problemi dell’ambiente e dello sviluppo: una capacità di lavorare in maniera sistemica, affidata, nelle analisi, ai dati e non alle approssimazioni; un lavoro complesso, per fissare priorità e valutare risultati,  per fare rete tra costa, interno e sistema metropolitano.  Un piano ha bisogno di numeri sufficientemente certi per l’analisi, di obiettivi misurabili, fissati nei costi, scadenzati nei tempi. Insomma, il sistema parco andrebbe compreso più a fondo. E questo non è stato ancora fatto. Di conseguenza si compiono errori gravi nella gestione dei comparti strategici dell’agricoltura, del turismo, dei beni culturali e ambientali, dell’edilizia, della formazione.

Il pensiero sistemico insegna ad essere umili, ad avere la consapevolezza che se è impossibile sapere tutto di un sistema, bisogna lavorare a fondo e con metodo per saperne abbastanza, per assicurarsi risultati abbastanza prevedibili e sufficientemente misurabili. Invece è stato molto più comodo affidarsi allo stereotipo infantile dell’intuizione, in base al quale la terra sta ferma e non gira.

Si sente una doppia esigenza di rafforzare un processo di modernizzazione delle analisi e degli stili di vita, innanzitutto delle professionalità del territorio e insieme quella di un recupero di antichi saperi, antichi semi, antichi modi di esistere e relazionarsi. Questo processo andrebbe sostenuto da un piano straordinario di formazione con collaborazioni anche internazionali, che riguardi il mondo delle professioni, soprattutto i tecnici (per l’agricoltura rigenerativa, l’edilizia biocompatibile, l’energia alternativa, il riciclaggio dei rifiuti, l’ecoturismo) , gli insegnanti (compresi quelli universitari) e gli operatori socioeconomici. Mi sembra utile, perciò, tenere aperta la discussione su alcuni punti relativi alla pianificazione degli interventi.
Inoltre, una modernizzazione sbagliata e consumistica ha lentamente demolito i rapporti di solidarietà umana, di reciprocità, di collaborazione, di cooperazione, di identità comunitaria esistenti nei piccoli paesi, fondate sui valori d’uso degli oggetti, sul dono, sullo scambio generoso di cose e competenze in seno alla propria comunità in base al proprio saper fare bene. Tutto si deve comprare non fare (e fare bene), perciò serve il denaro, anche a costo distruggere le ragioni stesse dell’esistenza di tanti piccoli aggregati. Ciò ha prodotto una perdita generalizzata di molti saperi utili e fondamentali, a partire dall’agricoltura (come cultura e coltura del suolo), dalla pastorizia, dalla cura dell’assetto idrogeologico,  o dall’artigianato… Ne è derivata un generazione di giovani sradicata, priva di manualità, scolarizzata superficialmente in un sistema scolastico che affanna nel costruire un sano rapporto culturale con la vita e a insegnare il lavoro comune e i rapporti umani solidali, la ricerca scientifica, la creatività, le lingue … Questa rottura dei rapporti con la vita e la storia del territorio attiva il pericolo mortale della deresponsabilizzazione.

Nella scala dei valori condivisi (affetti, creatività, spiritualità …) in primo luogo occorre ridare una nuova dignità alla bellezza, valore non sacrificabile al profitto. Innovazione e cambiamento non sono sinonimi di miglioramento:
un fare devastante deve essere sostituito da un fare bene le cose.

La città del parco

Una città, innanzitutto, riflette su che cosa sia essa stessa e poi progetta che cosa voglia. Insomma una città misura, quantifica  il suo fabbisogno nei settori strategici e struttura progetti con obiettivi, risorse e tempi.

La “città del Parco”, più volte evocata nel vigente piano, è una intuizione valida, ma mai pianificata. Una città, anche se fatta di tanti piccoli insediamenti, ha bisogno ugualmente di quantificare e tenere conto di

Corridoi ecologici, flussi demografici, infrastrutture, come:

le reti idriche (per un prelievo equilibrato e sufficiente) fognarie e depurative,
le reti dell’energia ( la metanizzazione stenta a partire), soprattutto rinnovabile (almeno il 20% ci chiede l’UE entro il 2020),
le reti dei sottoservizi,
le reti dell’innovazione energetica ( a partire dai regolamenti edilizi comunali),
le reti informatiche (ADSL),
le reti del riciclaggio dei rifiuti,
le reti della viabilità e dei trasporti,
la rete sanitaria e della medicina alternativa e del benessere,
le reti delle strutture produttive ( le aree PIP intercomunali),
le reti culturali (i fari culturali, i musei, ad es.),
le reti formative,
le reti della sicurezza, ecc…
E nelle reti non va mai dimenticata la rete dei rapporti umani di solidarietà.

I corridoi ecologici

La rete ecologica, innalzata a vessillo dell’operazione mediatica, nel piano attuale del Parco non prende corpo, perché non si intravede un approccio sistemico, impiantato sull’analisi dei corridoi ecologici (dei flussi di acque, venti, pollini, semi, uomini, pietre, detriti, strade,  energie .….) sulla consistenza e l’interazione dei patrimoni floricolo, faunistico, urbano. Un corridoio ecologico ti fa comprendere perché i massi della vetta del Gelbison stanno sul promontorio di Velia o perché le ceramiche protogeometriche del Vallo di Diano (VI sec. a. C.) si trovino anche sul promontorio di Palinuro; o perché gli insediamenti del paleolitico, le fortificazioni veline (III sec. a. C.), le torri angioine e spagnole spesso siano coincidenti; o quali tragitti percorra la mosca dell’ulivo e quali i semi dei salici; o come si è storicamente strutturata la sopravvivenza dei nostri paesi.

La toponomastica antica dell’area invitava a considerare i macrocorridoi ecologici del Cilento antico ( Monte Stella), delle valli dell’Alento, del Mingardo, del Bussento, del Calore, degli Alburni, del Diano. La nostra tragedia si fonda sul nominalismo delle azioni strategiche: si è frantumato il nome del Parco, ora reso ingestibile, in un elenco di luoghi (53 lettere, con gli spazi 62, mentre Cina  è di 4, BMW di 3, HP di 2 ! ) e non si riflette sulla ricchezza complessa dei suoi corridoi ecologici. Il pensiero ecosistemico contemporaneo insegna a non studiare cose, ma la complessità delle relazioni tra le cose e propone soluzioni fondate su relazioni complesse e spesso difficili da riconoscere e da comprendere. Il piano di sviluppo vigente del parco sembra assumere questa logica, ma subito la smentisce nella pratica in una diarrea ottocentesca di singoli interventi. Quante volte abbiamo sentito affermare, secondo una pessima visione riduzionistica della realtà: “Il parco non si occupa di fognature”!  Ma quale è il risultato nel sistema Parco?

La conseguenza di questo modo di pensare: mano libera per investire su opere inutili o dannose, sulla stravaganza dei boschi “vetusti, ecc…;  lo stesso PIT ( piano integrato territoriale) non ha integrato affatto la nascita delle aziende in una rete di servizi oltremodo necessari, tipici delle are PIP.

Spopolamento dei paesi interni

Il parco ha pagato a un prezzo molto salato le insufficienze del piano. Senza dati non si sono potute scegliere priorità e si sono dilapidate risorse pubbliche ingenti. Senza numeri nulla importa che Sacco (- 70 % !!!!!) e tanti altri paesi dell’interno abbiano perso più del 50% della popolazione dal dopoguerra ad oggi, o che il nucleo dei paesi (Novi, Moio, Cannalonga, Castelnuovo, Salento, Casalvelino, Ascea) intorno a Vallo della Lucania cresca e si sviluppi fino a diventare in modo incontrollato una città.

Lo spopolamento dei paesi interni è molto grave, alcuni sono a rischio di estinzione, per aver toccato quasi il 70% di calo demografico in 60 anni (Sacco). La popolazione sembra dislocarsi soprattutto verso la costa. Perciò, in primo luogo vanno stretti forti legami di solidarietà, gemellaggi tra comuni costieri e centri interni, che abbiano perso intorno al 50 % della popolazione  (Aquara, Bellosguardo, Campora, Cicerale, Corleto, Felitto, Laurino, Laurito, Magliano, Monteforte, Orria, Perito, Piaggine, Serramezzana, Rofrano, Roscigno, Sacco, San Mauro La Bruca, Sant’Angelo a Fasanella, Sessa Cilento, Stella Cilento, Valle dell’Angelo).
La collina e la montagna rappresentano rispettivamente il 41,6% e il 35, % del territorio italiano, ma sono abbandonate a se stesse. Non esiste un progetto serio di riduzione dei costi e di aggiunta di valore delle attività in questa fascia di territorio, che rappresenta più dei tre quarti della superficie nazionale ( in Campania collina e montagna salgono all’85 % della superficie totale regionale). L’innovazione tecnologica non è affatto orientata in questa direzione. I costruttori italiani di macchine agroindustriali sono leaders nel mondo, verso il quale esportano il 70% del loro fatturato, ma non investono nella  nostra collina e nella nostra montagna. Lo Stato, l’industria, il mondo della ricerca, le associazioni gestiscono una politica improduttiva ed autoreferenziale.
Pastorizia nelle aree del fuoco prescritto, agricoltura organica rigenerativa, keyline e reintroduzione dell’inerbimento per fermare il processo di erosione dei suoli erosione (in alcune aree italiane supera le 10 t/ha/anno di asporto di terreni fertili), forte attenzione alle attività presenti e loro modernizzazione, aree PIP, viabilità ben tenuta e ammodernata, innovazione  dei servizi esistenti ( scuole, poste, bancomat, trasporti pubblici…… ), bioedilizia per il recupero, regolamenti edilizi comunali che incentivino l’energia sostenibile, paesi albergo, prove dimostrative annuali di meccanizzazione  innovativa delle  antiche coltivazioni collinari,  linea privilegiata per i contributi, gli incentivi, i crediti ( in una azione coordinata con le banche), fari culturali intercomunali, linea ADSL, biblioteche e centri internet comunali sono solo alcune delle cose che si possono fare da subito, alcune senza l’impiego di grandi risorse. Soprattutto occorre rifare tetti e infissi delle vecchie case (oggi in gran parte fredde e inabitabili d’inverno) nei centri storici, secondo le  attuali conoscenze nel campo dell’innovazione energetica in edilizia e in bioedilizia.
Si è spesso favoleggiato di turismo nelle zone interne, ma il numero dei posti letto è risibile, mentre i centri storici sono vuoti, le case necessitano di interventi di energia sostenibile, migliaia di fabbricati rurali vanno in rovina! Un campo sterminato di intervento per il pubblico e i privati.
Il ripopolamento passa, tuttavia, pure per una nuova attenzione ai problemi residenziali degli immigrati (anche nella redazione dei PUC), in quanto questi partecipano stabilmente e attivamente alla ripresa delle attività agricole, edili e turistiche in tutte le nostre realtà.
E per queste realtà, ma anche per tutto il Parco, si dovrebbe invocare l’applicazione degli artt. 7 e 14 della legge 394, che rende disponibili fondi aggiuntivi privilegiati.

Aree incendiate e fuoco prescritto

Per il ripopolamento delle aree interne occorre far ripartire la pastorizia nelle aree del  “fuoco prescritto”, cioè nelle aree sottoposte a fuoco controllato.  In effetti dalla rivoluzione del neolitico la pastorizia ha utilizzato il fuoco controllato (fuoco e controfuoco) e in ogni corridoio ecologico delle nostre zone si sviluppavano le seguenti macroaree:  il bosco, le coltivazioni, il centro urbano, la gariga con il pascolo ( che si migliorava con il fuoco, che il pastore stesso controllava con il sistema del fuoco e controfuoco). Il Parco del Cilento ( prof. Assunta Esposito di Unina2, Prof. Mazzoleni di Unina1) ha sperimentato il fuoco prescritto invernale (come hanno sempre fatto i pastori) con il contributo di eccezionali esperti portoghesi , che hanno anche addestrato alcuni nostri forestali. I dati sperimentali evidenziano, secondo i biologi, un rafforzamento della biodiversità, una maggiore stabilità idrogeologica dei terreni, oltre ad una maggiore protezione dagli incendi estivi. Il fuoco “prescritto” invernale, viene praticato da 150 anni in Francia, impostato scientificamente in Portogallo, gestito nelle aree parco della Grecia, teorizzato da studiosi dell’Università di Napoli, a partire dal prof. Vincenzo La Valva, compianto ex presidente del Parco del Cilento. Ma la cosa va avanti a singhiozzi e sulla montagna del nostro Comune i pastori incontrano non poche difficoltà a sviluppare il loro utilissimo lavoro di pulizia del bosco e di produzione di straordinari formaggi, unici per il sapore salmastro della vegetazione esposta ai venti marini.

Boschi

Gli animali e l’uomo hanno dato ai boschi una forma.Molti boschi, privati della pastorizia, sono divorati dai rovi, sono soffocati dalle liane e sono a rischio incendio. Intanto le pratiche di taglio dei cedui ( dal latino caedere = tagliare) diventano , a dir poco, estenuanti e ripetitive. Bisognerebbe migliorare alcune regole dell’iter burocratico regionale ed eliminare qualche ente di troppo.

Un patto per le infrastrutture strategiche

E noi dobbiamo pensare seriamente ad un patto per le infrastrutture strategiche, a partire da quelle primarie, di cui la zona in più punti è ancora carente: reti idriche e fognarie, reti viarie, reti del metano, reti digitali.

Energia alternativa, condotte idriche e fognarie

Gli edifici consumano il 40% dell’energia impegnata nell’UE. Entro il 31 dicembre 2020 (2018 per gli edifici pubblici) tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a “energia quasi zero” , secondo le direttiva 2010-731/UE.
Cominciamo a conoscere solo ora attraverso i PAES il fabbisogno energetico delle utenze pubbliche dei comuni e neanche di tutti. Quale percentuale di energia sostenibile soddisferebbe quel progetto, come e in quali tempi si potrebbe raggiungere nel Parco almeno il 20% del fabbisogno complessivo di energia rinnovabile, fissato come obiettivo dall’UE per tutti gli Stati (nei parchi si dovrebbe andare oltre)?

Sarebbe facilissimo appurarlo e sarebbe bello fare un piano a cinque anni dotato di risorse, che non siano necessariamente i contributi, ma anche il credito bancario, gli investimenti privati.

Il Parco del Cilento aveva prodotto 7 anni fai un progetto di potenziamento della rete dell’energia alternativa del Parco centrato su fotovoltaico, eolico, biogas, gas metano. Il progetto è sparito. Ma sarebbe facile impegnare unitariamente i gruppi consiliari regionali a difendere ( e migliorare) il progetto presentato 7 anni fa, ora scomparso nei debiti e nelle nebbie della programmazione regionale.

Intanto i regolamenti edilizi comunali potrebbero già accogliere la normativa europea, italiana e regionale, e incentivarla in vario modo, su efficienza energetica della struttura edilizia ( Isolamento termico delle pareti e dei tetti, serramenti, orientamento delle costruzioni e schermatura) , efficienza energetica degli impianti, sistemi bioclimatici passivi, fonti energetiche rinnovabili ( impianti solari termici, impianti fotovoltaici, impianti geotermici, impianti a biomassa, sistemi integrati di produzione di energia), bioedilizia, contenimento dei consumi idrici ( risparmio idrico, recupero delle acque meteoriche, utilizzo delle acque grigie), fitodepurazione, verde nelle aree di pertinenza, albedo, depositi per i rifiuti differenziati.

E un facile metodo conoscitivo si potrebbe utilizzare per quantificare i KM delle condotte idriche ( che perdono più del 50% della risorsa) e fognarie, che sono la priorità assoluta.

I sistemi dei sottoservizi funzionano negli USA da oltre un secolo. Bisognerebbe in una prima fase arrivare ad accordi quadro con le società distributrici dell’energia elettrica, della telefonia, del gas, dell’acqua. Il Parco ha gettato sulle spalle dei cittadini una pesante contraddizione: da una parte si vieta l’uso dei pali, dall’altra non si è trovata una soluzione alternativa per energizzare le abitazioni o collegarle ai sistemi wireless.

Equilibrio idrogeologico

Il territorio ha bisogno di due strategie integrate una per la gestione del Flysch e un’altra per i massicci carbonatici.

Ci sono molte frane, perché c’è molta incuria. L’acqua non passa sotto i ponti delle strade, ma segue in molti punti del territorio un principio fondamentale della fisica, il principio di minima azione, cioè usa il minimo quantitativo di energia che regola il moto dei corpi, incanalandosi nei solchi da essa stessa scavati, se quelli antichi che portano  ai torrenti sono sbarrati, non manutenuti.

Per evitare una frana si dovrebbero ripulire antichi solchi, cunette, pozzetti, ponti, alvei di torrenti. Ma non si fa. I cantonieri, la forestale, i geometri, gli ingegneri, i geologi non guardano a quello che succede al di sopra della frana. Non penso che servano molti soldi per risolvere questo problema. E si potrebbero utilizzare gli incentivi della nuova PAC , oggi follemente elargiti senza richiedere nulla in cambio all’agricoltore, che incassa il premio e abbandona il terreno.

Lo stesso sistema di aratura dei terreni non segue più l’andamento delle curve di livello, come facevano i buoi, ma  i trattori , per non ribaltarsi, intervengono a rittochino, in maniera perpendicolare ad esse, creando un sistema fortemente erosivo di incanalamento delle acque lungo il pendio. Le nuove tecnologie hanno messo a punto nuove macchine trattrici radiocomandate (per le scarpate delle autostrade!), che possono seguire senza problemi il verso dei buoi.

Sarebbe, inoltre, utile dotare i comuni di qualche buona macchina (un trattore per sfalciare, trinciare, pulire cunette, manutenere i solchi, le cunette, le scarpate), ma si finanziano solo concerti e beni cosiddetti “immateriali” !!!

Acqua ed erosione costiera

Senza i numeri di un piano e senza un’analisi di quanto avviene nel corridoio ecologico della valle dell’Alento è potuto accadere che, nonostante l’abbondanza delle sorgenti  si sia potuta inventare finanche una emergenza idrica, per giustificare, ad esempio, la potabilizzazione delle dighe, un consorzio di gestione del potabilizzatore, le condotte duali. Eppure nel Cilento esiste un miliardo di mc di disponibilità idrica a fronte di 20 milioni di mc di fabbisogno e abbiamo condotte strategiche con perdite ingenti, largamente superiori al 50%! Insomma il più imponente fiume di denaro pubblico della storia del Cilento per irrigare una piana già irrigata, per trovare espedienti  utili a far crescere i costi dell’acqua della diga ( per ultime le condotte duali!!!), tutte operazioni fuori mercato, pur di tenere in piedi con denaro pubblico un investimento sbagliato. La recente trovata dell’uso turistico delle dighe finanzia proprio chi contribuisce a mettere in  pericolo il turismo delle spiagge attraverso la cementificazione e lo sbarramento del fiume, che impedisce il trasporto terrigeno (soprattutto delle sabbie) e genera erosione alla foce.

L’apporto terrigeno si intrappola nelle briglie della piana del Mingardo, mentre la spiaggia dell’Arco Naturale di Palinuro sparisce e l’Arco rischia il crollo !!!

Sulle spiagge di Ascea e Casalvelino la terra arretra fino a circa cinque metri l’anno,  essendo privata la costa di apporti di sedimenti sabbiosi utili a riequilibrare l’azione erosiva del mare. A ciò poi si risponde con costose barriere di protezione, destinate nel giro di qualche anno ad essere ingoiate dall’acqua, nel silenzio assordante dell’ambientalismo. I modelli matematici di nuova generazione dimostrano quanto sia dannosa l’azione delle barriere parallele alla costa e degli stessi pennelli. I modelli matematici applicabili nella progettazione dei sistemi antierosione costieri debbono riguardare anche il territorio a monte degli eventi erosivi, perché la linea di costa è il punto di equilibrio tra l’azione erosiva del mare e l’azione di trasporto dei fiumi. Autoreferenzialità e perseveranza nell’errore: un classico in un sistema perverso. Di questo solo qualche vaghezza nel cosiddetto piano della rete ecologica. Una mano non deve sapere ciò che fa l’altra: si pompa meglio denaro pubblico.

Agricoltura

Un piano vero per l’agricoltura dovrebbe essere centrato su azioni tese a integrare le coltivazioni nella natura, puntando su un sistema ecosostenibile ad alta intensità di conoscenza e ad intensa innovazione tecnologica, sulla riduzione dei costi e sull’aggiunta di valore ai prodotti.

 

L’AGRICOLTURA ORGANICA RIGENERATIVA

Dalle Alpi alla Sicilia la collina e la montagna italiane vengono abbandonate. Qui si produce meno e viene meno la giustificazione all’esistenza dei loro centri abitati.

La crisi prolungata tende a generare una rassegnazione sempre più radicata e diffusa. Si scambiano gli effetti con le cause: poste che chiudono, scuole che scompaiono, specie troppo prolifiche di cinghiali che si moltiplicano vertiginosamente e imperversano indisturbate nelle colture, negozi che abbassano le saracinesche, presidi sanitari che vengono soppressi, il dissesto idrogeologico che perdura erodendo suolo fertile o chiudendo strade ……

Non si crede in queste aree ?!

Noi siamo convinti, invece, anche sulla base di dati sperimentali, che le loro produzioni agricole abbiano caratteristiche salutari uniche e irripetibili. Si tratta di dare l’antica produttività e una nuova competitività a questo sistema. Intanto tutti i vecchi contadini e pastori ti dicono che si produceva molto di più col letame e le leguminose.

Noi stiamo lavorando su tre assi strategici:

  • agricoltura organica rigenerativa;
  • innovazione tecnologica ;

–     ecoturismo.

1) L’agricoltura (organica rigenerativa) si accompagna (dal neolitico in poi) all’inerbimento dei terreni (consociazioni di leguminose, graminacee, brassicacee), all’allevamento del bestiame e all’uso del letame come fertilizzante. Inoltre rinuncia alla monocultura.

2) L’innovazione tecnologica ristagna, perché le imprese costruttrici italiane investono il 70% per i mercati esteri e il 30% per la pianura e ciò impedisce di ridurre costi.

3) L’ecoturismo sta in piedi insieme alla produzione agricola, all’allevamento e alla capacità di stare sui mercati (che spesso sono di prossimità)

Jairo Restrepo Rivera raccomanda: “Una ricetta per la felicità e per una buona agricoltura: molta conoscenza .” Senza la consapevolezza della fisiologia delle piante, della biologia, della chimica organica, della fisica, insomma della vita, non si è buoni coltivatori; senza conoscere il nocciolo delle olive si è ladri di olive. Fin dai suoi esordi neolitici l’agricoltura ha viaggiato insieme all’allevamento, cioè si è giovata della presenza degli animali e del loro letame, cioè della “Mierda”, rigeneratrice di vita. Le piante ben nutrite e in buona salute, esattamente come gli esseri umani, non solo producono bene, ma si difendono meglio dalle malattie e dagli insetti.

Un buon coltivatore, consapevole che la vita è un tessuto fitto di relazioni tra le cose, nutre e rigenera la vita della terra con i microrganismi. Nella lettiera delle foglie del bosco, intorno alle radici, che affondano a vari livelli, pullula la vita dei microrganismi della decomposizione e ricomposizione.

La monocultura, i concimi chimici, i diserbanti, le coltivazioni erosive dei pendii collinari, i veleni rendono sterile questo sistema vitale.  Perciò un buon fertilizzante moltiplica i microrganismi e apporta minerali (con la cenere o la farina di roccia)con le sostanze naturali presenti in un territorio. Ciò è meno costoso, più salutare e più produttivo.

I terreni in pendio della collina e della montagna sono stati mal gestiti in tutta l’Italia, abbandonandoli all’erosione e all’improduttività, causa dello spopolamento. In primo luogo vanno cambiati i sistemi della nutrizione e della lavorazione di questi terreni, su cui va praticato un inerbimento protettivo attraverso consociazioni di leguminose, graminacee, brassicacee, come si è sempre fatto nel passato, apportando così anche azoto ai terreni con la sulla, la veccia, le favette, il trifoglio incarnato, la colutea arborescens (“dolache” nel dialetto nostro), le cicerchie …

Un piano agricolo vero per un parco dovrebbe rispettare in agricoltura lo studio dei microclimi e dei microambienti, che consentono solo in aree specifiche del Cilento la coltivazione del fico bianco, che fruttifica e si conserva in aree meno piovose.

Infatti, la piovosità media varia dagli 800-900 mm della costa alle pendici del Monte Stella, ai 1000 mm di Ascea , ai 1400 mm di Vallo della Lucania, ai 1800 mm di Sanza. Durante la fase di estensione del piano del Parco trovammo che gran parte dell’olivicoltura storica del parco è esposta tra il Nord e l’Ovest, ad altezze che partono dai 200/3000 mt. La ricerca scientifica avviata dal Parco sta lavorando per dimostrare che in questi ambienti le piante di ulivo hanno più antiossidanti e marcatori antitumorali.

Ciò impone in olivicoltura operazioni di restauro ambientale, di reinnesto di cultivars non autoctone improvvidamente impiantate ( si pensi alla cultivar Leccino, a drupa grossa, la più attaccata dalla mosca olearia, messa a dimora proprio nel centro della biodiversità del Parco !!!), che inquinano l’ambiente allevando parassiti. Senza la conoscenza delle relazioni della biodiversità  si sono impiantati ulivi ( vedi Licosa) in terreni e microclimi vocati alle coltivazioni dei fichi e viceversa; l’ignoranza ha condotto ad abbandonare ottime cultivars olivicole (la Salella), che si difendono meglio dalla mosca e dalla siccità, che producono senza alternanze, a minor costo e senza pesticidi e sono facilmente raccoglibili e sembrano presentare negli ambienti autoctoni un ottimo quantitativo di antiossidanti, marcatori antitumorali. La ricerca scientifica attivata dal Parco in questo campo sta cercando di stabilire quanto gli ambienti alimentino le qualità salutari delle cultivar e gli esiti sembrano molto promettenti.
Il recupero delle antiche varietà di alberi da frutto del Parco  ha lo scopo sia di contrastare l’impoverimento della biodiversità varietale, sia  di riprendere e riproporre effetti salutari, sapori e  profumi. Si dovrebbe creare una banca dei semi del Parco, partendo dall’esperienza messa a frutto tra Sassano e Teggiano da Nicola Di Novella. Anche l’IMPROSTA (azienda regionale) può assolvere al ruolo di conservare e ripropagare le migliori cultivars adattatesi storicamente  ai vari microclimi. (Lo ha fatto per qualche migliaio di piante di Salella, ma può assumere il ruolo di rialimentare la biodiversità produttiva del Parco, visto che in passato produceva 5 milioni di piantine l’anno e ora più nulla.)
A livello comunale vanno istituiti, con contributo volontario degli anziani, i campi collezione,  centri didattici di recupero, di raccolta e di moltiplicazione di varietà tradizionali di piante da frutto,  che possono sfociare in campi-vivaio, dove le piante possono venire moltiplicate e successivamente valutate, anche da un punto di vista fitosanitario, per un  ritorno alla produzione. A San Mauro Cilento abbiamo innestato con antiche varietà locali le prugne, i peri, i meli selvatici lungo le strade.

Questo comporta il consolidamento delle imprese agricole singole attraverso l’associazionismo, ma è tutt’altro rispetto al sistema dei consorzi di carta che imperversano ( consorzi di valorizzazione DOP, consorzi per il recupero delle integrazioni UE al reddito, consorzi di commercializzazione, ecc …. ).

Ma qual è la struttura tecnica del Parco dedicata all’agricoltura biologica o organica rigenerativa e quali figure tecniche si formano in questa direzione?

E su quali tecnici si può contare per il compostaggio, che è pratica virtuosa per l’agricoltura biologica e per lo smaltimento della frazione umida dei rifiuti?

E su quali tecnici si fonda la gestione delle imprese agrituristiche, visto che l’agricoltura disconnessa dagli sbocchi offerti dal mercato turistico è impensabile nel nostro Parco?

Dieta mediterranea … si potrebbe fare …

La stessa dieta mediterranea è diventata palestra di un esercizio verboso, retorico, inconcludente, soprattutto antiscientifico, ignorante, mentre si perdono importanti pezzi della biodiversità.  Ma l’unico testo di Keys (“Mangiar bene e star bene” del 1959), ripubblicato di recente, parla n dell’olio d’oliva. Keys rettificò in seguito la sua posizione.

La pratica della dieta mediterranea presenta i seguenti problemi di attuazione:

1) la ripubblicazione e la traduzione in italiano dei testi di Ancel Keys. Quello sui fagioli e quello finale sulla dieta mediterranea del 1975 non sono stati mai tradotti, per cui ogni discussione non ha basi scientifiche!

2) la freschezza delle verdure e della frutta, per avere l’apporto vitaminico tipico dell’orto;

3) una pianificazione urbanistica rispettosa degli orti;

4) la freschezza delle farine macinate a pietra con il germe e la crusca (ricchi di vitamine e sali minerali), oltre all’endosperma (che dà la famigerata farina doppio zero), insomma cereali integrali, che si trovano molto raramente in commercio, perché il germe contiene un grasso che irrancidisce dopo qualche settimana e viene sempre tolto nei moderni mulini;

5) una rigida osservanza di metodi di cottura (le verdure meglio cotte poco, a vapore o in poca acqua), tesi a non perdere l’apporto vitaminico dei cibi;

6) l’etichettatura dei prodotti che esalti le proprietà salutari della dieta mediterranea (antiossidanti, vitamine, grassi monoinsaturi …). Per l’olio extravergine di oliva il Ministero richiede esattamente il contrario.

7) l’uso limitato della carne, soprattutto quella rossa. Nel Mezzogiorno si mangia quasi esclusivamente carne di vacca, che è la più grassa e dannosa.

7) Un suolo non avvelenato e rigenerato con i metodi dell’agricoltura organica rigenerativa. Ma quando si rimettono in circolazione tutte le pubblicazioni dello scienziato americano, che indaga scientificamente sui principi nutritivi dell’alimentazione ?

Keys scrive: “….. La maggior parte del lavoro sperimentale sulla nutrizione è stata forzatamente limitata a studi di breve durata sugli animali ……… Alcuni nutrizionisti, in collaborazione con cardiologi ed altri scienziati, stanno indagando su popolazioni differenti per regime alimentare, in modo da studiare quegli esperimenti della natura, che non si possono riprodurre in laboratorio…… (Mangiar bene e stare bene, 1959). E noi che cosa stiamo facendo in questa direzione ? E che cosa stiamo facendo per migliorare le qualità nutritive dei cibi e la loro etichettatura (soprattutto degli antiossidanti, sia nei metodi di produzione che di cottura)? E come attribuiamo valore aggiunto alle coltivazioni, se è vero che gli antiossidanti sono una risposta della pianta alle sollecitazione dell’ambiente. Come misuriamo gli effetti dei vari microclimi o dei terreni ?

Una possibile proposta di lavoro nasce proprio da una considerazione di Ancel Keys.
A chi gli chiedeva per quale motivo lui fosse rimasto nel Cilento, lui rispondeva che voleva vivere venti anni di più, perché qui si ritrovavanol’orto ( anche con gli ulivi e gli alberi da frutto), il pane fatto in casa, il pesce azzurro”. Queste considerazioni potrebbero entrare nella pianificazione urbanistica dei comuni e del Parco, con tutti i problemi connessi ( aree per gli orti adiacenti alle case dei centri storici, recupero dell’acqua piovana e riattazione delle antiche cisterne, risemina dei cereali e dei legumi antichi, presenza dei forni in o presso le case, politica della pesca …). Vuoi vedere che offrire orti salutari può servire a ad allungare la vita e a incrementare il turismo, perché questa è un’offerta che fa la differenza?
In tutti i casi va rivolta la massima attenzione agli aspetti scientifici, creando un centro studi vero ( cioè dotato di libri di settore, riviste specialistiche, audiovisivi, collegamenti a internet) per la raccolta e la diffusione dei lavori pubblicati sul tema.

E poi la stessa azione educativa nelle scuole, semplice e non costosa, come mai non parte, creando una interrelazione salutistica virtuosa con i nutrizionisti del settore sanitario ?

Fauna del Parco

La Provincia di Salerno nel passato (dagli anni ’60 fino al 2005 nelle aree contigue!) ha immesso nel territorio del Parco Nazionale del Cilento cinghiali, soprattutto ungheresi,  perché più prolifici (13 cuccioli l’anno) e perciò graditi alle associazioni venatorie. E’ ben altra cosa il cinghiale appenninico, già presente in zona e assolutamente meno prolifico.

Lo Stato ha, quindi, da una parte favorito la crescita del numero dei cinghiali per la caccia e dall’altra ha deliberato, con legge apposita, che sul nostro territorio non si potesse cacciare, in quanto compreso nell’area Parco !

Una evidentissima contraddizione, che lo Stato deve sanare!

La prolificità dei cinghiali ungheresi, se calcolata in base alla rozzezza di un calcolo esponenziale, la cui formula è la seguente:     , porta a esiti inquietanti.  Il numero dei cinghiali calcolato in assenza di mortalità e malattie aumenta in modo esponenziale. Se noi assumiamo, dunque, che ogni coppia genera mediamente 8 cuccioli l’anno ( si dice anche 13 per la razza ungherese), i cinghiali di una sola coppia diventano nel calcolo esponenziale dopo 5 anni 237, dopo dieci anni 8.886 !

In questo momento, inoltre, lo Stato spende circa un milione di Euro per i danni (e i costi degli accertamenti valgono quasi più del danno)!

Si dovrebbe richiedere, pertanto, al Ministero dell’Ambiente e al Parlamento, di ampliare il numero dei selettori in ogni comune ( fino a 30, in rapporto al danno e al numero degli abitanti) ed estendere il periodo dell’intervento selettivo ordinario nelle zone agricole del Parco (dai 30 ai 60 gg anno), tenendo conto delle emergenze segnalate, essendo diventato insostenibile il danno all’agricoltura e alle casse dello Stato nella riparazione dei danni. Si tenga conto che i cinghiali rovinano soprattutto le coltivazioni biologiche, in quanto scavano nelle fertilizzazioni a letame profonde buche, che provocano danni irreversibili alle piante, o estirpano le leguminose (sulla …….), che apportano azoto naturale al terreno. Inoltre, il loro ingente numero in costante crescita li ha spinti a cercare sostentamento fin negli orti urbani, adiacenti alle abitazioni.

Piattaforma obiettivi urgenti:

  • Informazione più adeguata ai cittadini sulla possibilità di richiesta di intervento straordinario alla Forestale per la selezione dei cinghiali;
  • Attivazione piena dei selettori del vecchio bando, aiutandoli in alcune spese e nella possibilità di commercializzare le carni ed eliminando quelli inattivi, che non rispondono più alle richieste di intervento della Forestale;
  • Attivazione urgente dei corsi per selettori del nuovo bando, eliminando ostacoli burocratici;
  • Riapertura dei macelli pubblici e convenzioni con le macellerie e la ristorazione per la lavorazione e la vendita delle carni di cinghiale;
  • Contributi per macelli pubblici e privati;
  • Macellazione a domicilio di un numero non superiore a due cinghiali ( come per i maiali e la stessa cosa dovrebbe valere anche per altri animali, capre, pecore…);
  • Creazione di un sistema di trasporti verso il macello non costoso;
  • Riorganizzazione dell’ufficio ispezioni e pagamento danni del Parco;
  • Apertura di un nuovo bando per selettori;
  • Ampliamento delle fasce temporali dell’intervento selettivo ordinario (almeno una volta al mese).

Ma altrettanta attenzione andrebbe rivolta a quello che sta succedendo nell’avifauna. E’ sotto i nostri occhi l’incremento delle gazze e dei rapaci e (forse) il decremento dei serpenti e delle altre specie di uccelli. Il fenomeno andrebbe meglio compreso.

La presenza di adeguati sistemi di smaltimento fognario può garantire un ottimo sviluppo delle praterie di Posidonia, che proteggono dall’erosione costiera e garantiscono un habitat migliore alla fauna marina (vedi presenza della tartaruga Caretta Caretta sulla spiaggia di Acciaroli-Mezzatorre, nelle cui acqua si estende un giacimento di Posidonia in ottima salute).

I cosiddetti rifiuti: E=mc²

Dal 1905 Einstein ci ha insegnato che la materia imprigiona energia; perciò non esistono i rifiuti.
I rifiuti sono utili per il circolo produttivo e sono da considerarsi una ricchezza. Persino lo scrittore tedesco Goethe così scriveva nel suo “Viaggio In Italia”,  a Napoli, il 27 Maggio 1787:

“(A Napoli) Moltissimi sono coloro – parte di mezza età, parte ancora ragazzi e per lo più vestiti poveramente – che trovano lavoro trasportando le immondizie fuori città a dorso d’asino.

Tutta la campagna che circonda Napoli è un solo giardino d’ortaggi, ed è un godimento vedere le quantità incredibili di legumi che affluiscono nei giorni di mercato, e come gli uomini si diano da fare a riportare subito nei campi l’eccedenza respinta dai cuochi, accelerando in tal modo il circolo produttivo.

Lo spettacoloso consumo di verdura fa sì che gran parte dei rifiuti cittadini consista di torsoli e foglie di cavolfiori, broccoli, carciofi, verze, insalate e aglio, e sono rifiuti straordinariamente ricercati.

I due grossi canestri flessibili che gli asini portano appesi al dorso vengono non solo inzeppati fino all’orlo, ma su ciascuno d’essi viene eretto con perizia un cumulo imponente. Nessun orto può fare a meno dell’asino. Per tutto il giorno un servo, un garzone, a volte il padrone stesso vanno e vengono senza tregua dalla città, che ad ogni ora costituisce una miniera preziosa.

E con quanta cura raccattano lo sterco di cavalli e di muli! A malincuore abbandonano le strade quando si fa buio, e i ricchi che a mezzanotte escono dall’Opera certo non pensano che già prima dello spuntar dell’alba qualcuno si metterà a inseguire diligentemente le tracce dei loro cavalli.”

Quello che noi consideriamo rifiuto può essere trasformato in energia. Nella nostra cultura millenaria l’umido ha fornito energia agli orti e alle piante in campagna e può continuare a farlo con degli incentivi sulle bollette della TARSU ( o TARI ?).

Le nuove tecnologie di estrazione dell’olio consentono di ottenere un prodotto con sempre più antiossidanti e dei reflui adattissimi alla produzione di cibi con molti antiossidanti, alla alimentazione animale, alla coltivazione, alla produzione di energia sia negli impianti di biogas che nelle caldaie private (nocciolino e sanse essiccate).

Sugli impianti di trattamento dei rifiuti solidi urbani si è spesso sviluppata una riflessione ideologica. Si tratta di macchine, non tutte uguali, diverse nei costi e nei risultati. Per averci a che fare bisogna capire di motori, di costi energetici, di layout, di biossidazione, di pretrattamento, di emissioni …… E’ difficile fare una buona valutazione e una efficiente gestione di tali impianti, se non si formano dei tecnici altrove.

Il valore della bellezza in una urbanistica  ecosostenibile, con  regole semplificate

L’urbanistica ecosostenibile di un Parco si prende cura innanzitutto del come riqualificare, poi del come costruire il nuovo, infine del dove costruire in funzione di un processo di crescita vera, limitando al massimo il consumo del suolo. E l’edilizia prodotta negli ultimi cinquant’anni è quasi sempre invasiva, orrenda e dequalificata.

Noi oggi assistiamo a un paradosso: si attiva più risparmio energetico fuori del Parco che dentro i suoi confini per una scarsa consapevolezza dei nuovi sviluppi scientifici nei campi dell’energia e dei materiali. I nostri professionisti andrebbero messi costantemente in contatto con la grande cultura contemporanea dell’energia e dell’ambiente. Si tratta di formazione. Ma quante commissioni ambientali comunali tengono conto del sistema Ecolabel per le strutture turistiche, sostenuto dall’UE, o delle normative europee, nazionali e regionali, in continua evoluzione, sull’approvvigionamento energetico degli edifici ? E in quanti comuni del Parco ci sono regolamenti edilizi improntati sull’innovazione energetica e ambientale ?

Per la semplificazione si dovrebbe, nell’ambito del Parco, generare un regolamento edilizio comunale di base, che offra la possibilità di affidare ai soli comuni i permessi per le piccole trasformazioni, che non riguardino grandi unità di paesaggio.
In parte questo problema è stato sanato da recenti misure del governo, per cui si evita il passaggio in soprintendenza di tanti piccoli interventi, assolutamente irrilevanti sul piano estetico, paesaggistico, ambientale. Ma molto rimane da fare. Occorre soprattutto tenere separati i piccoli bisogni dalla grande speculazione, affidando semplicemente ai comuni le autorizzazioni e mettendo sotto la lente di ingrandimento i grandi tentativi di deturpare il paesaggio a vantaggio dei soli ricchi, a partire dalle singole unità di abitazione.

In primo luogo occorre ridare una nuova dignità alla bellezza, valore non sacrificabile al profitto. Un piano socioeconomico può generare nell’immediato per l’edilizia anche  delle linee guida   molto schematiche e semplici per le commissioni ambientali comunali, se si assegna un valore economico collettivo alla bellezza delle tipologie edilizie ( tra l’altro semplici e limitate) e dei paesaggi. Queste linee guida avrebbero potuto essere utili non solo ai tecnici, ma anche ai falegnami, ai fabbri o ai muratori, ai costruttori, alle loro aziende integrate in processo di crescita ecocompatibile e solido.

Sarebbe opportuno far crescere una cultura più profonda sul comportamento dei materiali locali, come il legno o le pietre (che variano a seconda della loro appartenenza a massicci Flyschoidi  o carbonatici e che andrebbero  conservate se provengono da lavori pubblici o privati, visto che le cave sono proibite nel territorio di un parco). In questo momento si sta riscoprendo un materiale straordinario, molto usato nei centri storici e nelle costruzioni agricole, la terra cruda, soprattutto il caolino o la terra di orto.

Un piano affronta il problema del restauro urbanistico-ambientale, che sulla costa si configura in non meno di un milione di metri quadrati di abusivismo edilizio da condonare o non condonabile, peraltro mai quantificato dalla pianificazione del Parco. Occorre produrre un piano per la bellezza del Parco, riqualificando  milioni di mc di edifici moderni da condonare o semplicemente da migliorare in qualità funzionale, estetica, energetica.
Come restaurare, con quali materiali, secondo quale metodo, per riprodurre quali forme, quali colori? Lo stesso sistema dei colori, infatti, è di non semplice configurazione.

Su tutto questo non si discute, non si produce cultura ed insieme alla cultura non si produce economia, che significa in primo luogo lo sviluppo di moderne imprese artigiane, connesse ai bisogni del territorio e al nuovo che si afferma nei settori della comunicazione, del risparmio energetico, …. . Insomma, si tratta di stabilire se si vuole guadagnare più soldi dalla bellezza e dal risparmio energetico o se si vuole costruire di più, producendo, come è ben noto, la riduzione del valore del territorio. Esattamente il contrario della logica del profitto, come è stato dimostrato a Scalea, dove un appartamento vale 20.000 Euro.
Se si applica la logica dei numeri nel rapporto seconde case-popolazione, si trova che il paese in cui si è costruito di più sulla costa è Montecorice, fino a un decennio fa.

Un piano per il Parco del Cilento affronta come nodo prioritario quello della riqualificazione del tessuto urbano dei centri storici, quantificando le cubature esistenti e le risorse occorrenti per un piano quinquennale di risanamento, magari finalizzato alla creazione di paesi-albergo.

Le zone D non sono sfruttate nelle loro buone potenzialità edificabili per la mancanza di PUC; e intanto si continua a discutere su come ampliarle, perché preme sul Parco un coacervo di interessi disordinato, demagogico e talvolta poco chiaro. Soprattutto si è ingenerata nei cittadini la falsa opinione secondo la quale si potrebbe costruire dappertutto e che ciò non sarebbe regolato già da decine di altri vincoli, tra cui i piani paesistici e dalle stesse norme urbanistiche nazionali, regionali e provinciali, che non consentono la costruzione di case o “casieddi” in area agricola ogni mezzo ettaro. Ciò offrirebbe la possibilità di costruire nel Parco 200.000 nuovi “casieddi”, impallinando in maniera pazzesca il territorio di case senza infrastrutture (nella merda), che possono ospitare teoricamente un milione di persone. Una  Casal di Principe all’ennesima potenza! E le posizioni più irresponsabili non riflettono sulle infiltrazioni camorristiche per il riciclaggio di denaro sporco, visto che in questa fase si muovono soprattutto capitali di origine non chiara.

L’edilizia è importantissima ed ha un campo infinito di azione nel recupero dei centri storici, nell’adeguamento energetico, nelle zone PIP e PEEP che mancano, nelle infrastrutture, che mancano ancora di più, nel restauro ambientale e idrogeologico. E qui il Parco può facilitare in vario modo l’accesso al credito ( sinergie con gli incentivi statali, tipo il 65%), oltre che progettare interventi che diano la possibilità di acquisire contributi. Ma prima di tutto deve formare i tecnici e deve avere dei dati (sui metri cubi dei centri storici, ad esempio), per comprendere l’entità del lavoro da compiere e da distribuire nel tempo per un buon piano triennale o quinquennale.

Sentieristica

La sentieristica, se strutturata per corridoi ecologici, potrebbe raccontare di più in termini di comprensione del territorio. In un corridoio ecologico diventa riconoscibile la storia dell’integrazione tra le aree coltivate e i centri urbani, tra la vegetazione spontanea della foresta, della macchia, della gariga (area destinata al pascolo e, quindi, anche ad essere incendiata, dal neolitico in poi).

Ma per la sentieristica è veramente necessario dilapidare i fondi PIRAP, visto che di soldi non se ne vedono più? E perché questi non si utilizzano per arricchire un piano energetico, che renderebbe più competitivo il territorio, magari integrando i finanziamenti per la metanizzazione, che stenta a partire ? Ma intanto i comuni stentano a mantenere puliti i sentieri funzionanti. E perché non intensificare la meccanizzazione per la pulizia di sentieri, delle strade di campagna e degli antichi solchi di scolo delle acque con la concessione di qualche contributo o di qualche forma di credito pluriennale ai comuni ? Esistono delle ottime macchine polifunzionali portaattrezzi sul mercato, che offrono soluzioni alla pulizia dei solchi, dei vari tipi di cunette, delle scarpate, ……….

Mi è capitato inoltre, di apprendere che i sentieri di San Mauro Cilento, da anni adeguatamente mappati, pubblicati sul sito del Comune, segnalati,  puliti e frequentati dai turisti, non possano far parte dei sentieri pubblicizzati dal Parco. Ci vuole molta pazienza …..

Turismo culturale

Il Parco possiede alcuni straordinari primati artistico-ambientali:

  • a Paestum, i templi meglio conservati al mondo e la pittura greco-italica più antica;
  • a Velia un patrimonio urbanistico greco-ionico unico nella Magna Graecia, dove si sono poste le basi del pensiero filosofico-scientifico europeo antico e moderno;
  • ad Acciaroli, le acque più pulite d’Italia;
  • a Camerota e Castellabate le aree marine protette, che rendono il nostro Parco il più grande d’Italia;
  • a Pioppi, il luogo di gestazione del pensiero scientifico sulla dieta mediterranea, patrimonio mondiale dell’UNESCO;
  • sul Cervati, la seconda vetta più alta della Campania, con relitti del periodo glaciale quali la betulla o con oltre 250 specie di orchidee;
  • a Padula, la Certosa più grande e spettacolare d’Italia e forse d’Europa;
  • a Camerota-Scario e Castelcivita, il paleolitico tra i più importanti d’Europa, a cui il Comune di Camerota ha finalmente dedicato un centro visite;
  • a Corleto Monforte, il Museo Naturalistico Ornitologico tra più importanti d’Italia;
  • a Teggiano-Sassano, le raccolte uniche al mondo dei semi e delle piante della biodiversità del Parco;
  • a Novi Velia, pitture di riferimento del trecento ancora gotico-federiciano, del Rinascimento meridionale (cultura pittorica quattrocentesca del centro Italia o dell’ambito cinquecentesco degli allievi di Raffaello);
  • a Vallo della Lucania, il Museo Diocesano che ha compiuto un notevole sforzo di restauro e di sintesi delle opere d’arte della Diocesi cilentana, ospitando, inoltre, mostre straordinarie;
  • a Pattano, la Badia con gli affreschi di cultura bizantina meglio conservati d’Italia del X-XI secolo d. C.;
  • a Palinuro, endemismi come la Primula Palinuri, relitto della glaciazione, come le betulle del Cervati o l’abete bianco degli Alburni ( che si ritrova nei resti combusti delle grotte del Musteriano di Castelcivita);
  • a Caselle in Pittari-Morigerati, il più lungo corridoio carsico d’Europa, in cui scompare il corso del Bussento;
  • a Castelcivita, Pertosa, sulla vetta del Cervati, a Vesalo fenomeni carsici straordinari;
  • forse anche la lontra, se si costruisce qualche altra fognatura insieme ai depuratori;
  • presidi Slow Food della soppressata di Gioi, del carciofo bianco di Pertosa, delle olive di Salella Ammaccate, dei fagioli di Controne, dei ceci di Cicerale, delle alici di menaica, del cacioricotta di capra (del fico bianco in gestazione) ;
  • due parchi marini di Camerota e Castellabate
  • a Felitto, Morigerati, Pollica vivono Oasi di importante rilievo naturalistico.

Si è articolato sul territorio un fitto patrimonio di musei, che aspettano una gestione in rete o almeno un elenco della loro esistenza, corredato di orari di apertura: il Museo Paleontologico di Magliano, i musei della civiltà contadina di Morigerati, di Moio della Civitella, di Ortodonico, di Vatolla, di Teggiano, Roscigno; il Museo del Libro Antico di S. Mauro Cilento; il Museo Botanico all’aria aperta di Sassano; il Museo del Mare di Pioppi; i Musei Archeologici di Roccagloriosa e di Laurino; l’antiquarium di Palinuro; l’antiquarium di S. Maria di Castellabate (archeologia subacquea); l’ecomuseo di Valle di Sessa Cilento dove vive, inoltre, il Centro Recupero e Riabilitazione Uccelli Rapaci del Cilento.

A Massicelle si afferma l’esperienza del Museo del Giocattolo Povero. Invece nella scuola elementare di Matonti, abbandonata in seguito al calo demografico,  era nato, ma non sopravvissuto il Museo di Storia Naturale del Cilento. Ma le sue propaggini si sono andate a consolidare nel Centro di Storia Naturale del Cilento di Vallo della Lucania, con una specializzazione erboristica.

Di grande interesse sono alcuni palazzi baronali con le loro antiche biblioteche ( Palazzo Vargas a Vatolla, Palazzo Mazziotti a Celso, Palazzo Materazzi a Serramezzana ……) non tutti visitabili.

Per tutto questo ben di Dio non esiste una informazione soddisfacente (orari di apertura, numeri di telefono, guide …..) o non esiste affatto una informazione.

E poi l’ecoturismo possibile delle vette del Cilento: la cima del Cervati, la più alta del Cilento (1.898 m, cede il primato in Campania solo alla Gallinola, 1923 m,  del Gruppo del Matese), seguita dalla Cima di Mercori alta 1789 m, dal Massiccio del Motola (1743 m), dal Panormo (cima più alta del gruppo degli Alburni, 1.742 m), dal vicino Faiatella (1.710 m), dal  Gelbison (1.705 m), dalla Raia del Pedale (1.521 m), dalla Raialunga (1.405 m), dal Cariusi (1.400 m), dal Cerasuolo(1.400 m), dal Gerniero (1.246 m), dal Monte Bulgheria (1225 m), dal Monte Stella (1 131 m).

E ancora le spettacolari sorgenti e i corsi dei fiumi: il Calore, il Sammaro, l’Alento, il Mingardo, il Bussento.

Se a questo si aggiunge il vantaggio di poter offrire insieme spiagge bellissime, colline coltivate e ricche di centri storici, boschi montani e praterie di vetta straordinari, la forza attrattiva verso la città di questo pacchetto risulta sulla carta vincente.

Tuttavia sforzi anche generosi non riescono a fare rete, non sono governati da una visione sistemica, non beneficiano delle professionalità necessarie, non godono dell’individuazione di mercati obiettivo, per cui in più di qualche caso si è cominciato ad annaspare, a raffreddare entusiasmi, ad andare in crisi. Il Parco non riesce ad affrancarsi dal peso della frammentazione territoriale e dai problemi connessi alla mancata formazione di una classe dirigente locale, capace di riconoscere e confrontarsi con risorse, mercati e riforme in maniera complessiva, ecocompatibile e socioeconomicamente vantaggiosa.

Sarebbe bello che il Parco offrisse ai sindaci della comunità delle visite guidate di questo grande patrimonio, offrendo la possibilità di socializzare  e approfondire scientificamente.

Un piano non fa analisi banali, ma riflette sulla qualità delle strutture turistiche (il prodotto), ne analizza i prezzi, le classifica e individua il loro mercato-obiettivo, sceglie i canali di vendita,  indirizzando investimenti promozionali verso i segmenti più profittevoli, introducendo strumenti di misura dei risultati. Invece si è fatta spesso confusione tra marketing e promozione (che è il quarto momento del marketing).

Per i mercati-obiettivo del turismo e dell’agricoltura il Parco è partito troppo spesso da lontano, dalla Finlandia o dal Brasile, ignorando che il turismo dei parchi è innanzitutto di prossimità, cioè rivolto prima alle città campane , per poi proiettarsi gradualmente verso il centro-nord italiano ed europeo. L’idea di parco è urbana.

E per il turismo nazionale ed estero  il miglioramento e la riduzione dei costi (soprattutto dagli aeroporti alle destinazioni) nei trasporti diventano irrinunciabili l’associazionismo degli operatori privati e il contributo dei pubblici, senza dei quali la spesa di trasferimento può toccare il 50% dei costi di servizio.

Ma soprattutto si potrebbe cominciare a tenere conto che la catena degli hotel Hilton ricava da internet oltre l’80% del suo fatturato !

Il Piano del Parco contiene una utile indicazione sulla viabilità nell’area interna ( la Vallo della Lucania-Campagna), di cui è stato finanziato lo studio di fattibilità, ma è scomparsa nel vortice della crisi. Ma il Parco ha bisogno di essere pensato in rete, in relazione con le città e i loro assi di comunicazione strategici. Attualmente il week-end nel Parco dei Napoletani si accorcia alla prima mattinata della domenica per gravi problemi di traffico nel rientro nel tratto Agropoli-Battipaglia-, con enorme danno alla ristorazione locale. Occorre una viabilità veloce nel tratto Eboli-Agropoli (già esiste il tracciato per Albanella ed è prevista una superstrada anche nel piano strategico della città di Salerno), di facile realizzazione, di costo accessibile, di nessun impatto ambientale, che relazioni in maniera rapida gli aeroporti, la linea dell’alta velocità al turismo costiero e interno. E sicuramente, nei week-end soprattutto, va ripensato il sistema di collegamento alla rete ferroviaria con opportuni incentivi alle navette e con un miglioramento dei servizi dei treni.

In questi ultimi anni è nata una rete eccellente di agriturismi e B&B. Ma il turismo cilentano è in gran parte fondato sulla presenza di seconde case, di falsi campeggi-baraccopoli (peraltro incentivati da una legge regionale)  cioè sulla fascia di mercato più povera, che non genera una classe dirigente imprenditoriale moderna tipica del turismo alberghiero. Qui il nostro limite più grave. Per questo necessita migliorare il sistema ricettivo, infrastrutturale, formativo, normativo, comunicativo. Oggi si possono occupare di turismo una pletora di enti: i comuni, (una volta anche le comunità montane), le Unioni dei Comuni, il Parco, l’EPT, la CCIAA, la Provincia, la Regione, I GAL, la Aziende di Soggiorno e Turismo. Ma è ancora peggio se le organizzazioni degli albergatori cercano di fondare anche un distretto turistico cilentano basato solo sulla costa, come hanno deliberato e che anche per la mia ferma opposizione non è mai nato.

Un Parco potrebbe promuovere l’ecosostenibilità delle strutture ricettive, il ruolo dei centri visita, dei centri di educazione ambientale, delle aree faunistiche, degli orti botanici, dei sentieri attrezzati, dei percorsi escursionistici, didattici, dei sentieri vita, degli itinerari di cicloerscursionismo, delle aree di sosta attrezzate.

Una seria programmazione turistica per un Parco ospitale si potrebbe preoccupare di ciò che va a fare il turista nel Parco e di come lo va a fare, cioè :

  • Informazione turistica e servizi,
  • Ambiente e atmosfera,
  • Ricettività e ristorazione,
  • Trasporti pubblici e privati, parcheggi, itinerari,
  • Attrazioni locali,
  • Eventi e loro coordinamento,
  • Sicurezza, salute, qualità della vita.

Un piano punta almeno su un paio di interventi turistici ecocompatibili di rilievo internazionale, che consentano di approcciare i mercati più facilmente, producendo indotto sul territorio a costo zero. Quale senso ha tenere in piedi o partecipare a fiere per l’agriturismo, se non circola un elenco delle strutture della zona e non si individua a chi siano rivolte simili azioni promozionali?

Un piano per il turismo archeologico tiene conto delle attuali presenze annue nei grandi attrattori culturali di Paestum ( circa 240.000 visitatori nel 2013, con un aumento di circa 21.000 dal 2012) o di Velia ( circa 33.000) e cerca di individuare il loro target (innanzitutto le scuole), per elevare ogni anno almeno del 10% il numero dei visitatori, che possono essere spalmati sul territorio.

Interessante il dato di Pertosa, che annovera circa 90.000 visite annue.

Si potrebbe avviare, ad esempio, a Velia un grande laboratorio per una città della scienza antica e moderna, destinata soprattutto ai giovani, all’interno di un progetto di ricomposizione del sapere, incarnatosi storicamente nel pensiero pitagorico-parmenideo. Ma ci si è chiesto quale risultato profondo sulla cultura nazionale potrebbe avere il rimettere in relazione la matematica con la filosofia, la musica, la fisica, la medicina, la botanica, la natura in un progetto didattico per Velia?  Ma non stabilivano queste relazioni già i pitagorici, di cui Parmenide era allievo?

Formazione e nuove professionalità

Un piano si occupa in maniera non astratta del sistema della formazione dei quadri, delle nuove professionalità per l’ecoturismo, per la bioagricoltura (per la potatura della piante), per la protezione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali nel parco, per l’ingegneria naturalistica, per le nuove tecnologie informatiche, per il risparmio energetico e l’uso delle energie alternative, per riutilizzo energetico dei rifiuti, per l’educazione ambientale …..

E ogni scuola del Parco potrebbe essere dotata di un orto didattico consapevole, per insegnare la vita dall’asilo alle superiori, come il nuovo pensiero ecologico raccomanda. I ragazzi partecipano al ciclo vitale di un organismo di nascita, crescita, maturazione, declino, morte, e poi della nuova crescita della generazione successiva…
Nell’orto si apprende per esperienza diretta che la terra fertile non è materia inerte, ma un organismo vivo, che contiene a sua volta miliardi di esseri viventi;  che questi organismi elaborano i cosiddetti rifiuti, trasformandoli in sostanze nutritive .
Inoltre, le scuole italiane (come le Finlandesi, prime al mondo nei tests OCSE) dovrebbero incoraggiare la manualità, attraverso l’uso diffuso di laboratori (musica, cucina, ceramica, falegnameria, stampa, elettromeccanica, …… ). Gli stessi edifici scolastici diventano un campo didattico- dimostrativo delle energie rinnovabili e del risparmio energetico per gli alunni e i genitori..

Un piano riflette sul numero degli studenti e degli insegnanti dei vari ordini di scuola, sulle scuole esistenti, sull’università, per coinvolgerle in un processo di miglioramento e di coerenza con lo sviluppo progettato, per attivare investimenti e collegamenti ( la scuola di Losanna proposta da De Masi, l’Istituto di Enologia di Conegliano, ad es.).

Il Parco ha bisogno di un ufficio scuole efficiente, per diffondere cultura ambientale verso gli istituti locali, per rilanciare la promozione sul  territorio regionale e nazionale. E questo si può ottenere anche sfruttando contributi di volontari disponibili nel territorio e dotati di grande professionalità.

 

Dunque, un impianto della formazione da rivoltare come un calzino. Invece si assiste alla sclerosi del tessuto formativo esistente, che nega agli studenti pendolari ( almeno l’85%) finanche le ultime precarie innovazioni ministeriali dei corsi pomeridiani, perché il sistema dei trasporti del Cilento dura solo nelle ore antimeridiane: una inciviltà da cancellare, una scuola di classe che esclude e non promuove gli alunni delle famiglie più bisognose e dei paesi più lontani dagli istituti scolastici.

Sicurezza

Dopo la morte di Angelo Vassallo si era fatta strada l’idea di un piano del Parco sulla sicurezza, che rimane tutto da affrontare, in particolare nell’area dei tre porti di Acciaroli, Agnone e San Marco di Castellabate. L’assenza di presidi ha sicuramente contribuito alla morte di Angelo, che è morto nella solitudine generata dalla nostra incomprensione dei problemi e dal nostro egoismo. E nulla di concreto si fa per migliorare strutturalmente la situazione, perché il nucleo interno delle caserme rimane collocato intorno all’asse viario Capaccio- Vallo della Lucania e al nodo viario della vecchia Statale 18, che oggi non viene quasi più percorsa. Si potrebbe trarre ulteriore beneficio da un coordinamento stretto dei comandi delle forze dell’ordine presenti nel Cilento, in attesa di una riforma generale del settore, che per ora sembra stia riguardando solo la Forestale .

Governance del Parco

La struttura burocratico amministrativa del Parco si dovrebbe giovare di una articolazione per settori strategici sui quali si punta, senza trascurare mai le interrelazioni:

  • equilibrio idrogeologico, biodiversità, bioagricoltura;
  • risparmio energetico e bioedilizia;
  • faunistica;
  • scuola, beni culturali e ambientali;
  • turismo ed ecoturismo
  • aree marittime.

La stessa comunità del Parco si potrebbe suddividere per commissioni negli stessi comparti  e sviluppare un lavoro propositivo. E credo che gli stessi comuni del Parco abbiano materia per riflettere sulle loro classiche ripartizioni organizzative alla luce del bisogno di una nuova percezione del territorio e di un governo più consapevole dei suoi processi.

Si può, inoltre, accorpare al Parco comunità montane, forestale, autorità di bacino, gli stessi distretti turistici, che si stanno erroneamente creando solo sulla costa, altro carrozzone completamente inutile, perché si occupano del settore i comuni, le unioni dei comuni, le comunità montane, i GAL, il parco, l’EPT, la Provincia, la Camera di Commercio, la Regione, le aziende di soggiorno e ora anche il distretto; e siamo a undici !!!!!!!! E ben quattro di questi enti possono imporre tasse:  i comuni, le unioni dei comuni, le comunità montane, la provincia ( gli ultimi due in fase di smantellamento prolungato ).

Si può coordinare con il Parco l’attività della Soprintendenza.

La politica farebbe bene a inquadrare l’esigenza di una riforma dello Stato, in cui il Parco assorba e risani la confusione e la disintegrazione delle istituzioni; una fognatura oggi deve essere approvata dal comune e autorizzata:

  • dall’ATO,
  • dall’autorità di bacino,
  • dalla comunità montana,
  • dalla forestale,
  • dall’ASL,
  • dalla soprintendenza BAAS,
  • dal parco,
  • dal genio civile.

 

Solone, un grande legislatore del mondo antico, denominò la sua azione riformatrice seisachteia, cioè scuotimento dei pesi: possibile che non si pensi all’alleggerimento (economico e burocratico) di questo sistema? Esistono una trentina di territoriali tutti a bacino diverso. L’Assessorato Regionale all’Agricoltura ne ha sfornato più di tutti ( ambiti PIR, POR, PIT, PIA, CEZICA, Consorzi Bonifica, ecc…… ; di recente Distretti Agricoli, Biodistretto Cilento, STS e altro ancora).

Un prodotto tipico DOP del Parco subisce i seguenti controlli nel processo di produzione:

  1. comune
  2. consorzio di tutela,
  3. ISMECERT,
  4. ASL,
  5. ARPAC,
  6. Guardia costiera,
  7. nucleo apposito della Forestale del MIPAF ,
  8. Guardia Forestale regionale,
  9. Carabinieri,
  10. Guardia di Finanza,
  11. Ispettorato del Lavoro
  12. NAS,
  13. NOE,
  14. Repressione Frodi,
  15. Regione, per la tracciabilità,
  16. Parco, per il marchio d’area,
  17. GDO (a cui non importa nulla di tutte le carte degli altri enti e impianta un ulteriore sistema di controllo).

A questi bisogna aggiungere tutti gli altri procedimenti di certificazione e controllo previsti dall’Unione Europea ( ISO 9000, ecc…..) !!! Attualmente per le certificazioni  la Coop Nuovo Cilento si sottopone (oltre ad ISMECERT) a questi ulteriori controlli di qualità di ICEA, SIAN, CSQA, ognuna con le sue procedure e i suoi costi. Mediamente una visita di controllo ogni 20 giorni !!! E costa una fatica pazzesca unificare a livello informatico le procedure in gran parte simili di Bio, DOP e tracciabilità, che le leggi tengono separate anche negli aspetti procedurali simili. E la nuova legge sull’olio promette altre forme di controllo. Ma come mai non bastano quelle in vigore? Perché diventano altrettante grida manzoniane?

Eppure la qualità Italia prende vita dagli ambienti straordinari dell’Appennino italiano, dagli innumerevoli e specifici microclimi, in cui è più facile produrre biologico e qualità DOC, soprattutto dai 300 mt in su.

L’obiettivo non è allora semplificare la burocrazia, ma ridurre gli enti, cioè riformare lo Stato, ridurne la frammentazione crescente e il peso soffocante. Accorpare non significa licenziare, ma cominciare a ridurre i troppi enti intermedi tra comune e regione. In Europa il numero dei comuni è stato ridotto. Si può cominciare a normare ed incentivare meglio la rete dell’associazionismo? Intanto se ne sono viste e sentite di tutti i colori, si è finanche agitata demagogicamente la partecipazione all’EXPO 2015, che si sostituirebbe ad un urgente ed imprescindibile progetto di comunicazione, correlato alla ricerca di mercati-obiettivo, dei loro specifici segmenti più profittevoli. Si vola alto, molto alto, per rinunciare ovviamente a trovare luoghi,  tempi e modalità per riformare lo Stato, progettare seriamente, rendere il sistema misurabile, verificare e migliorare risultati.  Meglio che tutto si perda nelle nebbie. Ma è altra cosa che progettare futuro secondo una credibile e praticabile azione riformatrice. Il mercato globale richiede intelligenza, nuove tecnologie, massa critica aziendale, stato efficiente, efficace politica ecosostenibile, capacità di ridurre i costi e aumentare il valore dei prodotti.

Giuseppe Cilento

Dagli appunti di “Viaggio nel Mezzogiorno” di Giuseppe Ungaretti,  5 maggio 1932:

“Torniamo sui nostri passi, arriviamo a Pioppi (frazione di Pollica) e, vista una paranza a motore in secco, domandiamo se vogliono noleggiarcela fino a Palinuro. Il proprietario, signor Pinto, la fa subito mettere gratuitamente a nostra disposizione, e vuole anche si accetti in casa sua una tazza di caffè. Non sono particolari insignificanti, e non sono i soli che m’hanno dimostrato la cordialità della gente di queste parti. Ho fatto quest’esperienza, anche avvicinando persone di umili condizioni: non entrano nei fatti vostri; vi rivolgono di rado la parola, ma non perché timidi o privi d’eloquenza, ma perché assenti in propri pensieri. Ma basta che esprimiate un desiderio, ed eccoli farsi a pezzi per accontentarvi: lo fanno per inclinazione a farsi benvolere, e mi pare ormai civiltà assai rara. Terra ospitale, terra d’asilo!”

Pubblicato in Uncategorized | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | 3 commenti

Uno Stato più forte e più leggero

Continua a leggere

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Ripristinare la vecchia legge elettorale (il “Mattarellum”)

Bisogna ripristinare la vecchia legge elettorale (il “Mattarellum”).

Innanzitutto il nuovo Parlamento dovrebbe ridare ai cittadini la libertà di scegliere i propri candidati.
Basterebbe approvare una legge di una sola riga: ” Si ripristina la vecchia legge elettorale n. ……….. del …………….
Non servono né un collegio di saggi, né grandi discussioni.

Si tratta di modificare solo i collegi elettorali, che nella composizione si saranno leggermente modificati.
Si cominci da subito.

Pubblicato in Uncategorized | 1 commento